Soluzioni, non servizi contro la crisi del mercato farmacia


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di Claudio Buono

Il Covid-19 sta mettendo a dura prova la farmacia, sia come retailer sia come presidio sanitario. Sembra un paradosso, ma nonostante questa continui a essere uno dei baluardi contro la pandemia, restando sempre aperta, il mercato italiano dei prodotti venduti al banco continua a perdere fatturato. Abbiamo analizzato la situazione con Erika Mallarini, docente di HealthCare management presso la SDA Bocconi di Milano.

Che cosa è cambiato in farmacia, alla luce di questa crisi pandemica?

È cambiato ciò che succede dentro e fuori il punto vendita, e non tutti questi cambiamenti resteranno legati alla contingenza, o almeno non completamente. Nel corso della prima ondata della pandemia, diagnosi, trattamenti, invii allo specialista ed esami diagnostici si sono ridotti rispettivamente del 12, 10, 30 e 22 per cento (fonte Iqvia, 2020). Ciò è dovuto al fatto che gli ambulatori sono stati chiusi a singhiozzo e le visite limitate alle prestazioni indifferibili. Questo trend negativo ha significato, dunque, meno prescrizioni e, di conseguenza, calo degli ingressi in farmacia (-308 al mese nel 2020 rispetto al 2019). Un fenomeno che potrebbe non attenuarsi del tutto nei prossimi mesi, in quanto i medici di medicina generale a breve saranno impegnati nelle campagne vaccinali, con la conseguente riduzione del tempo dedicato alle altre categorie di pazienti. Riduzione delle prescrizioni e quindi dell’affluenza in farmacia si traducono inevitabilmente in una contrazione delle vendite anche di quei prodotti dell’area commerciale che, non essendo beni di prima necessità, possono ugualmente essere acquisiti attraverso altri canali. Canali che poi, una volta sperimentati, potrebbero diventare il punto di vendita di riferimento qualora risultassero, ad esempio, più convenienti.

Il traffico è dunque il primo punto di forza su cui è stata colpita la farmacia. Ce ne sono altri?

Il problema della crisi commerciale del comparto non è legato solo alla caduta delle prescrizioni. Un altro punto di forza principale della farmacia che sta risentendo di tale situazione è quello della consulenza. La causa è da ricercare nel cosiddetto ‘effetto focolaio’, ovvero il timore che i luoghi di salute possano costituire altrettante aree di contagio. Questo acuisce il tema della riduzione degli ingressi, ma anche del tempo trascorso nel punto di vendita, che è sceso dai 7 ai 4 minuti. Le persone non si soffermano più di fronte agli scaffali, hanno paura di toccare i prodotti e di conseguenza si dirigono subito al banco, dove cercano di sostare il meno possibile, intrattenendosi con il farmacista solo per consulti essenziali che, di norma, non generano nuove vendite. Anche la telemedicina, oggi utilizzata in varie forme dal 70 per cento degli specialisti, sta riducendo il valore dell’intermediazione del farmacista in quanto avvicina il medico al paziente, offrendo a quest’ultimo la possibilità di avvalersi direttamente al proprio domicilio e in tempi brevi di un counselling clinico, senza bisogno di passare dal farmacista per approfondimenti. E ai fattori che ho citato se ne sta progressivamente aggiungendo un altro, ‘la prossimità’, che vede E-commerce e home delivery spostare il modello di consumo da ‘sotto casa’ ad ‘a casa’.

Un farmacista titolare quali strategie potrebbe adottare, dal punto di vista gestionale, per riportare clienti al punto vendita?

A fronte di un cambiamento epocale le soluzioni imprenditoriali non possono che esserlo altrettanto. Non c’è spazio per l’improvvisazione: occorre creare squadre forti e, possibilmente, trovare partner e fare rete con essi, perché gestire questa nuova farmacia è un altro mestiere. Ma soprattutto bisogna studiare – non ipotizzare – come si muovono le esigenze delle persone rispetto alla salute, guardando sì al proprio bacino d’utenza, ma ampliando anche l’orizzonte, perché la cultura e gli approcci degli individui cambiano molto rapidamente. Il mercato e le tecnologie attuali inducono all’autocura, cosicché l’asimmetria informativa tra professionista e paziente è percepita come meno rilevante da quest’ultimo. Ecco allora che la farmacia deve rispondere al problema in tutte le sue dimensioni. Non più, quindi, con un prodotto e nemmeno con un consiglio, ma con una soluzione che la renda unica, che faccia sì che il cliente la preferisca rispetto ad altri punti di vendita concorrenti, farmacie e non. Affermazioni del tipo “mi scelgono per il consiglio” o “mi scelgono perché ho tutto”, non sono più giustificabili. Oggi il consiglio lo si trova on line o viene fornito dal proprio medico tramite il web, mentre l’assortimento è praticamente infinito se si usa un market place. Così come le conseguenze del cambiamento di mercato a seguito della pandemia si affrontano con frasi quali, ad esempio, “mi scelgono perché so risolvere i loro problemi dermatologici” o “mi scelgono perché sono il punto di riferimento per le esigenze della donna”. Questa vision strategica si traduce in una specializzazione e va sostenuta con strumenti che mettano la farmacia in condizione di rispondere a quei bisogni di accessibilità, privacy, approfondimento e così via, la cui gestione è il punto di forza dei concorrenti. Di qui la necessità di rendere disponibile la propria value proposition,cioè la proposta di valore al mercato, con strumenti di natura ‘phygital’ (crasi tra ‘physical’ e ‘digital’) che combinino il mondo fisico (come l’esposizione, la consulenza al banco, i servizi domiciliari) e quello digitale (come l’home delivery, il teleconsulto, le app per la domotica).